Le grandi corna a lira stagliate nel tramonto, i vitelli in cerca di protezione sotto i ventri delle madri. I butteri – eredi dei boum ductores, i latini conduttori di buoi – la guidano con la sapienza dei gesti antichi. L’immagine senza tempo ha i colori della storia, il grigio delle vacche, il baio dei cavalli. È l’impronta cromatica di quella terra un tempo amara e oggi ancora testimone del primitivo sodalizio rurale tra uomo e cavallo, che Giovanni Fattori catturò magistralmente nei suoi dipinti.

Dalla Toscana all’Alto Lazio, con le sue ampie praterie, la macchia, le pinete e le zone palustri sopravvissute alle opere di bonifica, la Maremma emana un’atmosfera arcadica. Ai butteri, nostrani cowboy, è affidato il governo delle mandrie. Un lavoro duro e non privo di rischi, nel quale il costante rincorrersi delle stagioni scandisce le mansioni da svolgere.

La necessità di trascorrere molte ore in sella, salvaguardando tanto se stessi quanto il cavallo, ha portato allo sviluppo della monta da lavoro toponima. Oggi la “monta maremmana” ha un fitto calendario di appuntamenti agonistici che pongono in risalto la sintonia del binomio e l’addestramento del cavallo ed è protagonista di apprezzati spettacoli equestri. Il forte legame comunicativo consente al cavaliere o all’amazzone di impugnare le redini in una sola mano e di portare nell’altra un lungo bastone detto “uncino”, ausilio indispensabile per condurre le vacche ma, ancor di più, per aiutare a compiere, senza smontare di sella, piccole ma necessarie operazioni come aprire e chiudere i cancelli dei recinti. La scafarda e la “sella col pallino”, le più utilizzate nella Maremma Toscana, sono selle di grandi dimensioni, progettate per adattarsi perfettamente al dorso del cavallo e per avere una seduta quanto più confortevole, profonda e sicura. 

Il buttero non esisterebbe senza il cavallo Maremmano, dall’indole fiera ed energica, frugale e coraggioso quanto affidabile, il cui passo non teme le insidie del terreno. Qualità eccezionali che, esaltate negli ultimi decenni da un attento lavoro di selezione, ne consentono oggi un impiego, oltre che nella monta tradizionale, anche in altre specialità equestri come il salto ostacoli, il turismo equestre e il trek e sotto la sella delle pattuglie ippomontate delle Forze dell’Ordine.

Storia, tradizione e cultura maremmane non sono gli unici aspetti a caratterizzare la Toscana dei cavalli. Realtà agricole stanno riportando in auge antiche usanze per favorire un approccio più green, come a Montalcino, nel Senese, dove alcuni viticoltori hanno optato per un modello di produzione più virtuoso grazie all’impiego di Cavalli agricoli italiani da tiro pesante rapido tra i filari. Questi giganti si prestano perfettamente al lavoro in vigna: pazienti e intelligenti, apprendono rapidamente e i loro grandi zoccoli salvaguardano il terreno. E se si parla di Caitpr, il pensiero non può che correre alla sontuosa tenuta di San Rossore, che dividono con i cavalli da corsa.

Ancora, la Toscana brilla con due gioielli sotto lo stesso tetto, abbinando a Bolgheri, grazie i marchesi Incisa della Rocchetta, la storia del purosangue in Italia – uno per tutti, l’imbattuto Ribot – alle straordinarie annate del Sassicaia. E non possiamo non citare Livorno, che al suo grande figlio Federico Caprilli – il “rivoluzionario”, con il suo metodo di equitazione naturale – ha intitolato l’ippodromo cittadino dell’Ardenza, recentemente riaperto.

La Toscana stessa è celebrazione del cavallo, in ogni angolo del territorio, in ogni museo, in ogni paese, negli allevamenti, nei centri ippici e in pista, nell’arte, nella memoria e nella quotidianità. Al punto da innalzarlo a stemma regionale con il Pegaso rampante del Cellini in campo rosso passione.